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Native Advertising: funziona?

Indice

Il contesto pubblicitario attuale è caratterizzato da importanti difficoltà per tutti coloro che devono comunicare, dagli editori/publisher ai brand che devono giostrarsi tra Viewability e Performance dei contenuti, Brand Safety e AdBlock. E’ infatti diventato sempre più difficile catturare l’attenzione degli utenti bombardati costantemente da troppe informazioni. Negli ultimi anni però si è diffuso uno strumento nuovo che permette ai brand di pubblicizzarsi e farsi riconoscere subito dal cliente.

In questo articolo parliamo di Native Advertising, di cosa si tratta, come usarlo e sfruttarlo al meglio, leggete per saperne di più!

Owned, Earned e Paid media

Per farti riconoscere dal tuo pubblico, dovresti avere una comunicazione omogenea su tutti i media ma prima di approfondire, c’è un’interessante classificazione dei media che dovresti conoscere:

  • Owned Media: sono gli spazi controllati direttamente dall’azienda come il sito web, il blog e i canali social, sui quali si occupa direttamente il brand di creare i contenuti. Questo canale ha indubbi vantaggi lato SEO ma anche diversi svantaggi, principalmente legati al costo per la produzione dei contenuti e alle relative necessità organizzative.
  • Earned Media: sono gli spazi e le azioni non controllate direttamente dal brand come la condivisione sui social di un utente comune di un prodotto con il quale si trova bene e di cui ha piacere parlare, oppure le attività di digital PR e di influencer marketing. Questa modalità di promozione, sebbene utilissima ed efficace, ha un unico grande svantaggio: l’impossibilità di prevederne i risultati.
  • Paid Media: sono i media a pagamento, che consentono di pianificare al meglio prevedendo in anticipo gli obiettivi della campagna. Ad esempio, è possibile acquisire quantità specifiche di traffico, visualizzazioni di un video, copertura di pubblico. Lo svantaggio è senza dubbio il costo da sostenere che però porta sempre benefici.

Ma, come abbiamo già visto ampiamente, la maggior parte del tempo speso dagli utenti su mezzi digitali avviene su dispositivi mobili. Inizialmente a questa evoluzione dei media non è seguita una altrettanto rapida evoluzione dei formati pubblicitari, fino a quando non si è diffuso il Native Advertising, che altro non è che un Paid Media.

Ma quindi cos’è?

@UpStory definisce il Native Advertising come degli annunci pubblicitari che:

  • Assumono la forma del contesto in cui sono inseriti
  • Ereditano la funzione della piattaforma in cui vivono (es: il like di Facebook)
  • Non interrompono la navigazione
  • Sono rilevanti per l’utente
  • Riportano dati identificativi dell’azienda (come il logo) che la rende riconoscibile
Native Advertising: funziona?. In questo articolo parliamo di Native Advertising, di cosa si tratta, come usarlo e sfruttarlo al meglio, leggete per saperne di più!

In questa tipologia di advertising, come vedremo, rientrano anche gli articoli sponsorizzati, ma è importante sottolineare che non si esaurisce in essi. Consiste infatti in un insieme di tecnologie anche complesse che vengono combinate tra loro. Il Native advertising quindi non è niente di nuovo e tutti noi stiamo già da anni pianificando campagne native. Alcuni esempi?

  • Gli annunci Google search
  • I post sponsorizzati su Facebook, Twitter e gli altri social network
  • Gli articoli sponsorizzati prodotti da editori (es: Buzzfeed)
  • I widget di raccomandazione di contenuti inseriti a fine articolo (es: Outbrain, Ligatus, ecc…)

Formati di Native Advertising

Nel 2013 lo IAB (Internet Advertising Bureau), l’associazione che definisce gli standard pubblicitari, ha definito 6 tipologie di formati pubblicitari “native”:

  1. In-Feed: annunci inseriti nei contenuti di un sito che hanno lo stesso aspetto del feed
  2. Paid Search: annunci inseriti nella pagina dei risultati di un motore di ricerca che assumono lo stesso aspetto dei risultati di ricerca
  3. Recommendation widget: annunci che diffondono widget, che propongono agli utenti contenuti raccomandati sulla base dei dati di comportamento
  4. Promoted listings: pubblicità concepite per portali che mostrano liste di prodotti e servizi (es. Ebay). I prodotti sponsorizzati inseriti in queste liste si presentano come gli altri ma cliccandoci portano a una pagina esterna 
  5. In-Ad: contenuti inseriti all’interno di un formato pubblicitario standard che si percepisce non siano parte del sito che si sta visitando ma sono coerenti con gli argomenti trattati
  6. Custom: iniziative pensate in relazione al media sul quale si vuole pubblicizzare, come per esempio un podcast pensato appositamente per sponsorizzare un prodotto in relazione all’argomento trattato

Inoltre è fondamentale, di qualsiasi formato si tratti, comunicare con chiarezza all’utente che si trova davanti ad un annuncio, non ad un contenuto “spontaneo”. La trasparenza deve essere sempre garantita per non incappare in una pubblicità ingannevole, soprattutto per questa forma di advertising dove i contorni tra contenuto e pubblicità sono molto sottili.

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Qual è la differenza Content Marketing e Native Advertising?

A questo punto sorge, questa domanda spontanea, ovvero come si differenziano Content Marketing e Native Advertising. Per spiegarlo prendiamo le parole di @SemRush che non ha dubbi: il Content Marketing può essere definito come una strategia da adottare, il Native Advertising è una tattica, uno strumento di amplificazione ad uso di quella strategia.

Ma quindi il Native Advertising funziona? E’ diventata evidente, negli ultimi anni, la sua efficacia soprattutto nella generazione di maggiore attenzione, engagement e intento d’acquisto negli utenti, in particolar in relazione alla Display Advertising. Quindi sì, una buona strategia pensata per la Native Advertising può portare la tua azienda a migliorare visibilità ed aumentare gli acquisti!

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